Il lavoro della vita

Qualche giorno fa un collega mi ha chiesto quale fosse il lavoro che sognavo di fare quando ero piccolo.

“il Guardiaparco, al Parco Nazionale del Gran Paradiso”.

Avevo le idee chiare, da bambino. Avevo letto tutto su quel ruolo. Adoravo -e adoro- la montagna, pianificavo le gite con cura, utilizzando gli strumenti del mestiere: un vecchio binocolo, il coltellino svizzero, scarponi ingrassati per renderli impermeabili, zaino e kway. Ero già un piccolo guardiaparco.

Avevo 9 anni.

Poi la scuola, gli interessi e le prime esperienze di lavoro mi hanno portato lontano da quella idea, da quella intuizione, da quel sogno di un lavoro per la vita.

Una volta il lavoro era veramente il lavoro della vita: eri ciò che facevi, e venivi ricordato per il ruolo che avevi ricoperto durante gli anni “di attività”. Ed il segno che le cose sono mutate lo riporta bene questo articolo del Time, nel quale emerge come dieci anni fa le professioni oggi più ricercate non esistevano neanche.

Quale è quindi la rotta giusta da seguire oggi, professionalmente parlando? 

Ho poche certezze.

Penso che imparare a fare cose differenti dal proprio mestiere, oltre che stimolare l’intelletto, sia una grande assicurazione per il futuro lavorativo.

Si potrebbe partire dalle proprie passioni, vero e proprio bacino di nuove competenze, hard e soft skill.

Si potrebbe iniziare ad ascoltare quella vocina che da tempo suona flebile nella mente, zittita dal buon senso e dalla sicurezza, nemici giurati del vero successo.

Si potrebbe iniziare ad osservare i bambini per capire come fare a… divertirsi sul lavoro.

Si potrebbe prendere un giorno di ferie, regalare – letteralmente- il proprio lavoro per capire che valore ha davvero per noi.

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